Votiva / Parabita per il Contemporaneo

Ultima modifica 18 settembre 2024

 


Schede opere

 

01

FELICE LEVINI
Il piede del santo, 2024
ceramica smaltata e ferro | glazed ceramic and iron, piede | foot circa | approx. cm 28 x 15, freccia | arrow cm 60
» Corte Ricci 4

Nella sua pratica artistica, che spazia dalla pittura alla scultura, passando per la performance, Felice Levini ha sempre attinto con disinvoltura alla letteratura e alla mitologia, generando immagini spesso stranianti che rimandano a significati inediti e a volte enigmatici, o forieri di molteplici interpretazioni. Il piede del santo creato per Parabita, reso prezioso dalla superficie dorata e trafitto da una freccia, allude forse all’iconografia di San Sebastiano, il santo martirizzato con frecce assunto come protettore contro la peste, e al tempo stesso, rimanda nell’immaginario collettivo al tallone d’Achille, metafora delle fragilità umane. Scomponendo i simboli dell’iconografia artistica tradizionale e mischiando le sfere del divino e dell’umano attraverso frammenti che anche nella materia prescelta (l’oro del piede e il ferro della freccia) assumono valenza simbolica, il piede del santo di Levini diventa un gioco di illusioni, allusioni e rimandi, secondo una poetica del frammento che incoraggia l’immaginazione. Così, proseguendo lungo il tracciato di questo gioco metonimico, rincorrendo la verticalità su cui il piede prodigiosamente si incammina solitario, ci si potrebbe figurare una divinità mercuriale, portatrice di messaggerie celesti e protettrice dei viandanti che, smarriti i calzari forniti di alette, viene trafitta sul suo aereo cammino.

In bilico tra inquietudine e ironia, il racconto per immagini di Levini del tempo presente invita a rovesciare il reale, interrogandosi sul mistero dell’esistenza e sulle forze contrapposte che governano l’indeterminatezza del caos del presente. Da alcuni anni il simbolo della freccia, in diverse declinazioni, è al centro di molti lavori dell’artista, come l’installazione permanente all’Istituto Italiano di Cultura di Stoccolma, dove alcune pietre sono trafitte da frecce idealmente venute dallo spazio ad evidenziare concettualmente ciò che accade sopra e sotto questo nostro cielo, o come nella recente installazione Hypermaremma nel Parco Archeologico dell’Antica Città di Cosa, ad Ansedonia, dove le frecce sono conficcate nel terreno come saette ad indicare inequivocabilmente ai conquistatori il luogo sacro agli dèi.

Felice Levini (Roma, 1956. Vive e lavora a Roma). Dopo gli studi all’Accademia di Belle Arti, nel 1978 insieme a Giuseppe Salvatori e a Claudio Damiani, e poi con Vittorio Messina e Mariano Rossano, aprì uno spazio in via S. Agata dei Goti gestito dagli stessi artisti, che diventò luogo di incontro per mostre e serate di poesia. Il 1978 è anche l’anno della sua prima collettiva dal titolo “Artericerca ’78” allestita al Palazzo delle Esposizioni di Roma. Nel 1980 entra a far parte del gruppo dei “Nuovi-Nuovi” che debutta con la mostra a cura di Renato Barilli alla Galleria Civica d’Arte Moderna di Bologna. Partecipa alla XII “Biennale des Jeunes” presso il Museo Civico di Parigi e alla Rassegna del Castello di Volpai (SI) del 1984. Seguono il XLIV Festival dei Due Mondi di Spoleto, la XII Quadriennale di Roma e la XLIV Biennale di Venezia.

Tra le sue mostre personali recenti in spazi pubblici vanno ricordate quelle all’Acquario di Roma, alla Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma, all’IIC di Zagabria, all’Auditorium Parco della Musica di Roma, al Museo Pecci a Milano, all’IIC di Copenaghen, al Museo della Ceramica Chini di Borgo San Lorenzo (FI), l’installazione permanente all’IIC di Stoccolma, al Museo Carlo Bilotti di Roma, al Museo Maxxi dell’L’Aquila e il progetto Hypermaremma nell’ Area Archeologica e Museo nazionale dell’antica città di Cosa, Ansedonia. 

Ha fatto parte del progetto di Camere di RAM Radioartemobile di Roma e della mostra L’Albero della Cuccagna di Achille Bonito Oliva (2014-15) per la sede di Stella Maris, Montesilvano (PE).

02

HELENA HLADILOVÁ
Kaya, 2022
marmo rosso antico | antique red marble, cm 28 x 13 x 15
» Via S. Antonio 2

Nel 2022 Helena Hladilová ha realizzato un corpus di sculture ispirate alla civiltà Inuit e alle loro radici ancestrali, secondo cui anche la più piccola cosa sulla terra vibra di una propria energia sacra e, per una propria funzione, risulta utile a mantenere un equilibrio osmotico e propiziatorio tra mondo umano, mondo della natura e mondo delle divinità. Il pensiero animista di queste popolazioni era radicato all’interno di una vita strettamente collegata ai ritmi della natura, che permetteva di intuire il sacro presente nelle cose del mondo. I mutamenti economico-sociali e le condizioni di vita derivanti in gran parte dai cambiamenti climatici e ambientali, hanno trasformato radicalmente gli stili di vita di queste popolazioni provocando un progressivo snaturamento e una diffusa alienazione sociale. Come un amuleto sciamanico, Kaya, ci riporta alla dimensione del magico e del sacro. La scultura, realizzata in antico marmo rosso, è in grado di richiamare le funzioni energetiche dei materiali e la rappresentazione evocativa dello spirito delle cose e dei luoghi.

Helena Hladilová (Kroměříž, Repubblica Ceca, 1983. Vive e lavora a Seggiano, Grosseto) ha studiato alla Facoltà di Belle  arti della VUT University, Brno, all’Accademia di Belle Arti di Brera, Milano e all’Accademia di Belle Arti di Carrara. Nel 2008 ha co-fondato l’artist run space GUM Studio. Hladilová ha esposto in importanti gallerie e istituzioni nazionali e internazionali come: SpazioA, Pistoia (2022), Almanac Inn, Torino (2021); Kleine Humboldt Galerie, Berlino, Germania (2018), 0smicka, Humpolec, Repubblica Ceca (2018), SVIT, Paga, Repubblica Ceca (2017), L’Ascensore, Palermo (2017), Treti Galaxy, Milano (2017), Polansky Gallery, Praga, Repubblica Ceca (2017),  Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci, Prato (2017), American Academy, Roma (2016), National Gallery, Praga, Repubblica Ceca (2016), MAXXI, Roma (2015), Fanta Spazio, Milano (2015), MACRO, Roma (2014), GAM, Torino (2013), Fondazione Bevilacqua La Masa, Venezia (2012), Fondazione Antonio Ratti, Como (2012), Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino (2012). Ha preso parte alla 6th Prague Biennale, Repubblica Ceca (2013) and in Go West! - III Moscow  International Biennale for Young Art al Muzeon Art Park in Moscow, Russia (2012).

03 NAMSAL SIEDLECKI

Viandante, 2023
rame | copper, cm 27 x 5 x 3
» Via Dottor Gaetano Cataldi 39

 

La figura di partenza dell’opera di Namsal Siedlecki è la perfetta riproduzione in rame di un ex-voto ligneo del 50 a.C. proveniente da Clermont-Ferrand, in Francia, raffigurante un viandante. Scolpito originariamente in legno di faggio, l’ex-voto era gettato in acqua come offerta votiva, gesto propiziatorio che l’artista associa alla più contemporanea abitudine di lanciare monetine nelle fontane, in forma di buon auspicio.

Il processo creativo del Viandante di Parabita parte da due sculture nate identiche in cui una si sacrifica all’altra. Per 10 giorni sono state immerse in una vasca galvanica che attiva un processo di spostamento dei metalli da una superficie ad un’altra, utilizzando una leggera carica elettrica anziché il calore. Una delle due sculture è connessa al polo negativo, in modo da cedere la propria materia, e agisce come anodo sacrificale; la seconda è connessa al polo positivo che accoglie la materia, facendone aumentare massa e volume.

L’edicola votiva di via Via Dottor Gaetano Cataldi presenta l’anodo sacrificale. Perdendo progressivamente il proprio volume nel processo di galvanizzazione, la scultura è stata soggetta ad una semplificazione della propria forma che vira verso l’astrazione. Viandante permane fuori dal controllo dell’artista anche successivamente, mantenendo uno stato di trasformazione dinamica per mezzo del processo di ossidazione del rame che si produce, nel corso del tempo, dal contatto tra il metallo e l’ossigeno.

Le opere di Namsal Siedlecki, legate all’idea di evoluzione, spesso uniscono la maestria artigianale alle più moderne tecnologie e indagano la natura processuale e trasformativa dei materiali. La sua ricerca artistica si alimenta infatti di riferimenti legati alle tradizioni popolari, all’alchimia, all’antropologia culturale, alla sintesi tra riti contemporanei e gesti ancestrali.

Namsal Siedlecki (Greenfield, USA, 1986. Vive e lavora a Seggiano, Grosseto) negli ultimi ha esposto il proprio lavoro in numerose istituzioni tra le quali: MAXXI, Roma; Gamec, Bergamo; Palazzo Reale, Milano; Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino; American Academy in Rome, Roma; Museo Novecento, Firenze; Villa Medici, Roma; 6th Moscow International Biennale, Mosca; Fondazione Bevilacqua la Masa, Venezia; Musée Bargoin, Clermont-Ferrand; Galeria Boavista, Lisbona; Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci, Prato; Villa Romana, Firenze; Cripta747, Torino. Nel 2015 ha vinto il Cy Twombly Italian Affiliated Fellow in Visual Arts at the American Academy in Rome e nel 2019 il Club GAMeC Prize e il XX Premio Cairo. Nel 2022 è stato tra i tre finalisti Maxxi Bulgari Prize al Maxxi di Roma.

04

LILIANA MORO
Polaris, 2024
intervento site-specific | site-specific installation
plastica, vernice spray acciaio cromato, lucine intermittenti | plastic, chrome steel spray paint, intermittent lights
» Via Vittorio Veneto 1

L’opera Polaris di Liliana Moro trae ispirazione dal cielo stellato dell’edicola in via Vittorio Veneto: stelle bianche su fondo oltremare in cui, in un’epoca successiva, sono state sovrapposte nuove forme in rilievo.

La scultura è un paesaggio marino notturno composto da una barca e da un faro che pulsano di luce interna attraverso un’intermittenza che, come un respiro, richiama la sospensione, ovvero un tempo per la contemplazione. Il gruppo scultoreo trova riferimento formale in alcuni lavori del 2002 che l’artista intitola Piazze in cui piccoli oggetti di uso comune, appartenenti alla sfera del gioco, sono assemblati e ricoperti di una vernice color acciaio cromato. L’artista formalizza in questo modo scene distopiche che divengono metafore del nostro essere al mondo. Polaris è una declinazione successiva che, arricchita dalla presenza di una luce interna intermittente, elemento ricorrente nella pratica dell’artista, porta in sé qualcosa di diverso. Illuminare per catalizzare l’attenzione su ciò che è intorno, riprendendo esattamente la funzione del faro. Indicare una presenza, una direzione, un punto di riferimento, un segno che accoglie nel mezzo di un territorio sconosciuto e oscuro come può essere il mare di notte. Orientare era anche la funzione di Polaris, la stella più luminosa della costellazione dell'Orsa Minore, anche conosciuta come stella polare o stella del nord, che attraverso una lettura sapiente degli astri guida da millenni la navigazione celeste. 

Liliana Moro è da sempre impegnata a riflettere il tema della fragilità e della ricerca di un equilibrio. Suono, parole, video, sculture, oggetti e performance compongono un mondo che 'mette in scena' una realtà cruda e poetica allo stesso tempo.

Liliana Moro (Milano, 1961. Vive e lavora a Milano) si è diplomata all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano. Nel 1989 fonda, insieme ad altri artisti, lo Spazio di Via Lazzaro Palazzi a Milano che chiuderà nel 1993. Incontrando i lavori di Liliana Moro si ha la percezione che sia presente solo ciò che è strettamente necessario. Sono territori di un’esperienza individuale (quella dell’artista ma soprattutto dello spettatore) che invitano a andare oltre ciò che è visibile. La riduzione all’essenziale intesa come attitudine, pratica e posizione, non è il risultato di una ripresa del linguaggio minimal, si tratta piuttosto di una modalità che l’artista mette in atto sia quando sceglie di impiegare tecniche elaborate, sia quando sceglie di utilizzare materiali esistenti o oggetti d’uso comune. Uno degli elementi che ha un posto di rilievo nella ricerca di Liliana Moro è la dimensione politica che non si traduce in illustrazione di contenuti, ma riguarda la modalità di relazione con i destinatari, per esempio con il disporre a terra il proprio lavoro chiedendo implicitamente a chi guarda di abbassarsi per vedere. La libertà di azione è un aspetto importante del lavoro ma lo definisce solo in parte: ciò che produce lo scarto interessante è la relazione tra l’universo delle possibilità e la tensione a più livelli – fisica e poetica- generata da questa relazione. Ha esposto in importanti mostre collettive quali: Documenta IX Kassel (1992); Aperto XLV Biennale di Venezia (1993); Castello di Rivoli (1994); Quadriennale di Roma (1996/2008); Moderna Museet Stoccolma(1998); PS1 New York (1999); De Appel Amsterdam(1999); I Biennal de Valencia (2001); Boundaries-Confini,Museo Man Nuoro(2006);Italics, Palazzo Grassi Venezia (2008); La Magnifica Ossessione Mart Rovereto (2012); MAMbo Bologna (2013); Triennale Milano (2015); e ha tenuto mostre personali: Galleria Emi Fontana Milano Greta Meert Bruxelles; MUHKA Antwerpen (1996); Galerie Michel Rein Paris (1998); Galerie Mehdi Chouraki Berlin (2004); Fondazione Ambrosetti Brescia (2004); Isituto Italiano di Cultura Los Angeles (2007); Fabbrica del Vapore (2008); Fondazione Antonio Ratti Como (2012); Fondazione Zegna All’Aperto opera permanente, Trivero Biella (2015); Il suo lavoro é presente in collezioni pubbliche e private in Italia, Francia, Belgio e Stati Uniti; Castello di Rivoli, Rivoli (To), Museo Pecci, Prato, FNAC, Paris, FRAC Centre, Orléans ,France, FRAC Rhone-Alpes / Nouveau Musée, Villeurbanne, Lyon, MUHKA, Museum van Hedendaagse Kunst Antwerpen,- Galleria d'Arte Moderna, Torino-Centro per le Arti Contemporanee,MAXXI Roma- MAMbo, Museo d'arte moderna -  Magazzino Italian Art, Cold Spring New York.

05

ADRIAN PACI
Compito #20, 2024
ceramica | ceramics, cm 35 x 24
» Via Vittorio Veneto 24

Nel laboratorio di disegno della Comunità di Sant’Egidio di Tor Bella Monaca a Roma, nel 2017 Adrian Paci incontra Maurizio. L’agenda sulla quale Maurizio scriveva incessantemente era piena di segni caratterizzati da un particolare ordine ritmato. Nella ripetizione del gesto esercitato da Maurizio si percepiva un certo senso di urgenza che ha sedotto l’artista, generando in lui un misto di meraviglia e ammirazione: quelle pagine “erano così concrete e precise, ma allo stesso tempo così misteriose e irraggiungibili”. Un linguaggio impossibile da decifrare che si sedimenta nella memoria visiva dell’artista, tanto da spingerlo a replicare quei segni. “Disegnare quelle pagine era un modo per relazionarmi ad esse attraverso i semplici gesti del mio corpo, dei miei occhi e della mia mano. Cominciai a utilizzare il mio pennello e gli acquerelli, così facendo non era solo il mio corpo a prendere parte a quel dialogo, bensì anche il corpo degli strumenti. La carta, l’acqua, il pennello, il colore. Individuai pure un altro partecipante al dialogo: il tempo. Il tempo dei miei disegni si relazionava al tempo dei disegni di Maurizio. Lui disegnava in maniera rapida e ossessiva; io meditavo lentamente e con attenzione. Poi decisi di esplorare quel processo adoperando altri materiali, altre mani, altri tempi. Così prese forma l’idea dei primi mosaici e poi delle opere in tessuto. Inaugurai questa serie chiamando il lavoro Untitled (Senza Titolo), ma ricordando poi la risposta di Maurizio: “Scrivo perché questo è il mio compito”, decisi di intitolare questi lavori Compito numerandoli per differenziali tra loro.”

Adrian Paci ha continuato a relazionarsi con le pagine di Maurizio esplorando quei segni attraverso opere su tela, tavolette su fondo oro, disegni, interpretando queste pagine come fossero partiture sonore. Compito#20 è stato realizzato in ceramica da Adrian Paci appositamente per l’edicola di Via Vittorio Veneto.

Adrian Paci (Scutari, Albania, 1969. Vive e lavora a Milano) ha frequentato la Akademia e Arteve a Tirana, Albania dal 1987 al 1991. Si è laureato in Storia dell’Arte e Estetica in Shkoder tra il 1995 e il 1997, quando ha lasciato la sua casa per Milano, fuggendo dalle violenze che stavano flagellando l’Albania in quell’anno. Nel corso della sua carriera, Paci ha tenuto numerose mostre personali in varie istituzioni internazionali tra cui Haifa Museum of Art, Israele (2022); Kushtalle Krems, Austria (2019); Salzburger Kunstverein, Austria (2019); National Gallery of Art, Tirana (2019); Museo Nazionale delle Belle Arti di Taiwan, Taichung (2018); Museo Novecento, Firenze (2017); Chiostri di Sant'Eustorgio, Milano (2017); unsw | art & design, Paddington (2016); MAXXI, Roma (2015); Trondheim Kunstmuseum, Norvegia (2014); Röda Sten Konsthall, Goteborg (2014); MAC, Musée d'Art Contemporain de Montréal (2014); PAC - Padiglione d'Arte Contemporanea, Milano (2014); Jeu de Paume, Parigi (2013); National Gallery of Kosovo, Prishtina (2012); Kunsthaus Zurich (2010); Bloomberg Space, Londra (2010); CCA - The Center for Contemporary Art, Tel Aviv (2009); Museum am Ostwall, Dortmund (2007); Moma PS1, New York (2006); e Contemporary Arts Museum, Houston (2005).

Il lavoro di Paci è stato presentato alla 22a Biennale Sesc_Videobrasil, Brasile (2023); Manifesta 14, Kosovo (2022); Bienal de la imagen en movimiento, Buenos Aires (2018); 7a Biennale di Urbanistica/Architettura, Shenzhen (2017); 14a Mostra Internazionale di Architettura, Biennale di Venezia (2014); 2a Biennale di Montevideo, Uruguay (2014); Biennale di Busan, Corea del Sud (2014); 12a Biennale Internazionale di  Cuenca, Ecuador (2014); 4a Biennale di Arte Contemporanea di Salonicco (2013); Biennale Internazionale di Arte Contemporanea di Melle, Francia (2011); Biennale di Lione (2009); Biennale Ticab di Tirana (2009); 10a Biennale di Habana, Cuba (2009); 8a Biennale Baltica di Arte Contemporanea, Polonia (2009); 15a Quadriennale di Roma (2008); Triennale Internazionale di Arti Contemporanee, Praga (2008); 3a Biennale di Praga (2008); Biennale di Sydney (2006); Biennale di Busan, Corea del Sud (2006); Biennale di Arti Visive di Goteborg (2006); 51a Biennale di Venezia (2005); Biennale di Siviglia (2004); Biennale di Cetinje, Montenegro (2004); Triennale di Tallin (2004); 2a Biennale di Tirana (2003); 5a Biennale di Werkleitz, Berlino (2003); 1a Biennale di Tirana (2001); 1a Biennale di Valencia (2001); 48a Biennale di Venezia (1999).

Le opere di Paci sono conservate nelle collezioni pubbliche di molti musei quali MoMA - Museum of Modern Art, New York; Metropolitan Museum of Art, New York; Museum of Contemporary Art, Miami; Seattle Art Museum; Centre Pompidou, Parigi; Fond National Art Contemporain, Parigi; Kunsthaus Zurich, Zurigo; Moderna Museet, Stoccolma; Museum am Ostwall, Dortmund, del Musée d'art contemporain de Montréal, Montréal; Muzeum Sztuki; Moderna Galerija - Ljubljana, Ljubljana; National Gallery of Art, Tirana; The Israel Museum, Gerusalemme; MAXXI, Roma; GAMEC, Bergamo, tra gli altri.

06

ektor garcia

figura de nudo, 2018
ceramica smaltata | glazed ceramic, 30 x 15 cm
» Via Impero 55

La scultura figura de nudo è stata realizzata a Lecce nel 2018 durante una residenza ospitata dallo spazio indipendente progetto in cui l’artista ha sperimentato materiali e tecniche artigianali del territorio. Realizzata da un unico cordone intrecciato in ceramica smaltata, la figura sembra sorregge tra le braccia il peso delle proprie viscere interne. Con uno specifico riferimento all’anatomia umana, la scultura ci rimanda alla sfera del corpo sensibile e trasmette implicitamente uno stato emotivo contingente al vissuto, connesso all’intimità dell’esperienza del corpo e alla sua memoria personale. La nudità, intesa nella duplice accezione di verità e vulnerabilità, esplicita in questo lavoro il carattere dicotomico della ricerca dell’artista che riconosce nella propria pratica un’indole “politica e personale, multivocale e autobiografica, inclusiva e soggettiva” e testimonia l’interesse dell’artista per i temi legati alla memoria individuale e collettiva, alla nostalgia e alla ricerca di identità.

La pratica artistica di ektor garcia utilizza tecniche e materiali artigianali legati a quella sapienza del gesto che tesse, innesta, intreccia, con cui la mano può creare forme e modelli partendo da materiali semplici. Come egli stesso afferma: “Mi identifico fortemente con la libertà e la spontaneità dell'artista outsider così come con la necessità funzionale dell'artigiano. Sono costantemente alla ricerca di modi di creare e presentare che mettano in discussione la divisione tra le cosiddette cultura alta e cultura bassa".

ektor garcia (Red Bluff, California, USA, 1985. Vive e lavora a New York) è un artista multidisciplinare che si avvicina all'installazione scultorea attraverso una vasta sperimentazione di tecniche e materiali artigianali. Ha conseguito il BFA presso la School of the Art Institute di Chicago nel 2014 e il MFA presso la Columbia University di New York nel 2016. È stato incluso nella Whitney Biennial 2024, Hangzhou Triennial of Fiber Art del 2019, Prospect 5 di New Orleans. garcia ha esposto in istituzioni e gallerie tra cui Foxy Production, Luhring Augustine, Sculpture Center, The New Museum, New York; Etage Projects, Copenaghen; Progetto, Lecce; Marianne Boesky Gallery, Aspen; Museum Folkwang, Essen; LAXART, Los Angeles; Museo de Arte de Zapopan, Guadalajara; Salon ACME, Kurimanzutto, Città del Messico; Blaffer Art Museum, Houston; tra gli altri.

07

GIANNI DESSÌ
Dell’arte…. l’oro, 2024
intervento site specific | site-specific installation
colore metallizzato su intonaco, gesso e foglia d’oro | metallic colour on wall, plaster and gold leaf, dimensioni ambientali | environmental dimensions
» Via Andrea Giannelli 18

“Vie che si intrecciano nella città di Parabita… percorsi che trovano soste, sospensioni. Nelle rientranze del muro ecco scavate edicole una volta votive, consegnate alla devozione e alla  protezione dei luoghi. In molti casi abbandonate all’incuria e spesso private dell’immagine, oggi se ne trovano altre… sono quelle che numerosi artisti venuti da ogni dove offrono a chi ne sa interrogare il senso disponendosi all’incontro. La mia, in via Giannelli, posta poco più su dell’orizzontalità dello sguardo, si offre dorata. Tre figure si intrecciano, la centrale le unisce. Micromondo e progressione generativa nel numero pitagorico. Uno, due e tre. Geo-metria… mondo che si apre al senso… lingua che prende forma… oro che sovrasta… faccia, bocca, cuore.”
Interessato da sempre al possibile dialogo tra pittura, scultura e ambiente, come avviene nell’edicola pensata per Parabita, Gianni Dessì si fa portatore con le sue opere di un’arte fondata sulla commistione di linguaggi diversi. Ne intreccia i destini per conferire una nuova accezione e un nuovo senso alla pittura.

Con un’operazione inversa alla sua pratica artistica più nota, che vede la pittura travalicare i confini della tela o, come nel caso degli interventi murali all’Istituto Italiano di Cultura di Parigi e delle opere scultoree più recenti, cercare uno spazio “altro”, nel lavoro concepito per Parabita il colore, uno solo, è contenuto all’interno dell’area limitata dell’edicola. Tra le figure dipinte e la struttura architettonica si genera una tensione ed è la pittura, con la sua presenza, a determinare una nuova percezione dello spazio.

All’unione delle tre figure costrette nello spazio ristretto della nicchia, una maschile, una femminile e una infantile, che richiamando alla mente l’iconografia della sacra famiglia allude al concetto di creazione, è sovrapposta una forma ovaloide primigenia, come ovali sono i volti delle figure, che risulta divisa, tagliata, come il seme che da luogo alla germinazione, come la bocca da cui fuoriesce la parola, o, metaforicamente, come il parimpari pitagorico, ciò che sta in mezzo tra il pari e il dispari di cui è fatto il mondo.

Significativa la scelta dell’oro, colore riflettente che da forma e allo stesso tempo scompagina la forma, perché vibra e acceca, e che assume matericità nell’ulteriore forma ovaloide che fa capolino dal bordo dell’edicola.

Gianni Dessì (Roma, 1955. Vive e lavora a Roma e Amelia) si diploma all’Accademia di Belle Arti con Toti Scialoja nel 1976. Nel 1979 tiene la prima mostra personale alla Galleria Ugo Ferranti. Del 1984 espone alla mostra Ateliers curata da Achille Bonito Oliva, diventando uno dei protagonisti artistici di San Lorenzo, luogo che diviene in quegli anni centro vitale della cultura artistica nazionale e internazionale. Dessì partecipa alla Biennale di San Paolo nel 1981 e alla 12e Biennale de Paris nel 1982. È invitato per due volte alla Biennale di Venezia nel 1984 e nel 1986, anno in cui partecipa per la prima volta anche alla Quadriennale di Roma. Nel 1995 si tiene un’ampia personale alla Galleria Civica d’Arte Contemporanea di Trento, curata da Danilo Eccher. Nel 2006 tiene un’importante retrospettiva al MACRO di Roma. Nel 2009 espone al MART di Rovereto nell’ambito della mostra Italia Contemporanea. Officina San Lorenzo. Dalla sua iniziale collaborazione con il gruppo teatrale de “La Gaia Scienza” a metà degli anni Settanta, Dessì ha costantemente lavorato per il teatro realizzando, fra le altre, le scenografie per il Parsifal di Wagner, con la regia di Peter Stein e la direzione musicale di Claudio Abbado al Festival di Salisburgo del 2002; le scene per l’opera di Bela Bartok Il castello del duca Barbablù al Teatro la Scala di Milano nel 2008 e nel 2015 le scene e costumi per l’opera Il suono giallo di Alessandro Solbiati, ispirato al testo originale di Vassilij Kandinsky. Di recente importanti mostre dell’artista sono state ospitate in istituzioni pubbliche: Tutto in un fiato al Musée d’Art moderne de Saint- Etienne (2011); Vis à vis all’Accademia di Belle Arti di Carrara (2012); Senza titolo al Museum Biedermann di Donaueschingen (2012-2013); View Vista alla New York University (2013); Tutto insieme al Museo d’arte contemporanea di Lissone (2014). 
L’uso di combinare linguaggi espressivi diversi conferisce al suo lavoro un carattere del tutto originale. Emblematici in tal senso sono gli imponenti interventi murali realizzati nel 1994 per la sede dell’Istituto Italiano di Cultura a Parigi e nel 1996 per una delle pareti del Palazzo delle Esposizioni a Roma in occasione della XII Esposizione Nazionale Quadriennale d’Arte. Membro dell’Accademia Nazionale di San Luca a partire dal 2008, la presiede nel biennio 2017-2018.

 

08

FRANCESCO ARENA
DIO (CUBO), 2024
intervento site-specific | site-specific installation
marmo di Carrara | Carrara marble, cm 40 x 40 x 40
» Via San Nicola 9

Realizzata appositamente per il progetto Votiva, l’opera è composta da due blocchi sovrapposti di marmo di Carrara che custodiscono in segreto al loro interno la parola DIO. Nel blocco superiore sono incise le lettere D e O e nel blocco inferiore è incisa la lettera I. La parola è completa solo quando i due blocchi sono uniti a comporre un cubo, facendo diventare il termine invisibile come il soggetto che rappresenta. Il blocco di marmo è bloccato, inclinato, ed è sospeso grazie a dei cunei di legno che creano un forte contrasto tra gli elementi. Il marmo più pregiato al mondo, con cui sono scolpite alcune tra le opere d'arte più celebri come la Pietà di Michelangelo o Il Cristo Velato di Giuseppe Sanmartino, è sorretto da una materia povera, organica, di uso comune, come il legno. A sottolineare il contrasto tra gli elementi è il sistema di equilibrio generato dall’artista che annulla la portata delle forze fisiche che agiscono sul corpo scultoreo, perpetuando uno stato di quiete. Citando Jon Fosse, Francesco Arena dichiara: “La parola stessa Dio rivela che Dio esiste, penso, il solo fatto che abbiamo la parola e l'idea di Dio indica che Dio esiste”.

Come in questo caso, il lavoro di Arena prende le mosse da forme geometriche minimali e archetipe, i cui riferimenti si possono ritrovare nell’arte minimale e nell’Arte povera, di cui fa sintesi, e procede lungo due binari paralleli: quello formale e quello del significato, il fisico e il metafisico, legandosi sia alla storia collettiva che a quella personale dell’artista. Materia e forma che si intersecano e interagiscono per farsi “vettori oggettuali di pensiero sul mondo”.

In occasione di una sua personale alla galleria Raffaella Cortese Arena ha spiegato “Dalla stratificazione continua di informazioni e notizie, levando, togliendo, viene fuori l’opera d’arte che è una riduzione, un eliminare tutto quello che non è strettamente necessario. Quando capisci che non puoi eliminare più di tanto, che non puoi togliere più niente, vuol dire che sei arrivato all’esattezza. Cioè che l'opera è giusta in quel modo. Per giusta intendo che deve avere anche un giusto rapporto forma/contenuto. La questione formale naturalmente mi interessa molto, credo molto nella forma, nella necessità che l'opera abbia una sua formalizzazione. Penso sempre che l'arte abbia necessità di questa forma anche quando la stessa non è immediatamente decifrabile.”

Francesco Arena (Torre Santa Susanna, 1978. Vive e lavora a Cassano delle Murge, Bari)  ha tenuto svariate mostre personali in spazi pubblici e privati tra le quali: Measured Stones, Nogueras Blanchard Gallery, Madrid; Otto angoli, Studio Trisorio, Napoli; Terza mostra: tre cose, Galleria Raffaella Cortese, Milano; Cubic metre of seawater as a diagonal, Sprovieri, London; Posatoi, Olnick Spanu Art Program, Garrison, NY; Onze mille cent quatre-vingt sept jours, Frac Champagne-Ardenne, Reims; Trittico 57, Museion, Bolzano; Cratere, De Vleeshal, Middelburg NL. Tra le mostre collettive si ricordano: After Image, Maxxi L’Aquila; Le Futur derrière nous. L’art italien depuis les années 1990. Le contemporain face au passé, Villa Arson, Nice; The Paradox of Stillness. Art, Object and Performance, Walker Art Center, Minneapolis; Utopia Distopia, Museo Madre, Napoli; The Humans, Kunstmuseum, St. Gallen; Ennessima, Triennale, Milano; Ritratto dell’artista da giovane, Castello di Rivoli, Rivoli; Vice Versa, Italian Pavilon, 55 Biennale di Venezia, Venezia.

09

MIMMO PALADINO
Senza titolo | Untitled, 2024
installazione site-specific | site-specific installation
acciaio, tessere di marmo, smalto e oro | steel, marble tesserae, enamel and gold, cm 70 x 35
» Via Vernicchia 11

Il lavoro che Paladino ha realizzato per Votiva nasce dal dialogo con la dimensione ambientale sulla quale l’artista ha scelto di operare attraverso il mosaico. In questo spazio definito da due entità cromatiche - il blu e l’oro, vicine alla dimensione sacrale dell’arte delle origini - una figura umana centrale racchiude l’inconfodibile alfabeto dei segni di cui la pratica dell’artista è portatrice: un volto attraversato da una linea lieve, una mano, una ciotola, un cerchio nero. Strutture segniche semplificate e essenziali che ci rimandano a iconografie di civiltà arcaiche, come quella bizantina, che attraverso la semplicità della forma acquisiscono la facoltà di comunicare con intensità e immediatezza. Nel mosaico il volto è nutrito da un’espressione ancestrale, quasi sciamanica. Sopra la mano, simbolo ricorrente nella pratica dell’artista, è sospeso un recipiente dal fondo dorato nel quale è possibile decodificare lo spazio del sacro, del dono, della comunione, del corpo mistico. Nella grammatica dell’artista il cerchio nero porta con sé il concetto di infinito, di profondità, di mistero, sintesi di una dimensione metafisica e primordiale.

Paladino ha articolato il proprio interesse indagando le peculiarità della figurazione a divenire linguaggio. E’ autore di una ricerca ininterrotta sulla storia, sulle tecniche e le possibilità conoscitive ed espressive della pittura che, in dialogo con gli ambienti che abita, dissolve la separazione con le altre discipline, in particolare con la scultura. In un’intervista del 1987 afferma: «Io metto insieme le tradizionali tecniche della scultura, della pittura, del mosaico in un modo che in un’altra era sarebbe stato impensabile. Oggi un oggetto che fuoriesce da una tela sta a significare che stiamo parlando di scultura anziché di pittura e, fondamentalmente, non si tratta né di scultura né di pittura nel senso tradizionale».

Mimmo Paladino (Paduli, 1948. Vive e lavora a Benevento) è tra i principali esponenti della Transavanguardia, movimento fondato da Achille Bonito Oliva nel 1980. La sua attitudine a lavorare sul linguaggio dell'arte e sulle sue articolazioni concettuali ed espressive, ha radici negli anni Settanta, quando l'artista muoveva i primi passi nell'ambito di una figurazione ricca di elementi simbolici che sarà riscontrabile in tutta la produzione successiva. Paladino intraprende così percorsi linguistici sorprendenti, sperimentando le diverse tecniche tradizionali: dal disegno alla pittura, alla scultura, al mosaico, all'incisione, fino all'immagine filmica. Dal 1985 si cimenta, inoltre, con grandi sculture in bronzo e con installazioni saggiando così la contaminazione tra diverse forme espressive. Alla fine degli anni '90 Paladino realizza diversi altri cicli pittorici, nei quali si rende evidente l'aspetto più problematico della sua ricerca, ovvero il continuo interrogarsi sul linguaggio dell'arte: la geometria, la frammentarietà, la molteplicità e l'accumulazione dei segni, insieme a improvvise cesure e cambi di registro, che costituiscono alcuni fili conduttori del suo operato. La sua produzione inizia ad essere conosciuta anche all'estero grazie ad una mostra itinerante del 1980, che si sposta da Basilea ad Essen, ad Amsterdam, oltre ad una personale alla Badischer Kunstverein di Karlsruhe presentata da Achille Bonito Oliva. Nel 1982 partecipa alla Biennale di Sidney, allo Zeitgeist di Berlino, a Documenta 7 di Kassel ed è del 1985 la sua prima retrospettiva al Lenbachhaus di Monaco. Nel 2015 partecipa alla Biennale di Venezia, Padiglione Italia, con uno spazio a lui dedicato. In occasione della mostra Terra Italiana, realizzata nel 2014 dalla Galleria d'Arte Maggiore g.a.m. a Bologna, ha esposto alcuni dei suoi celebri lavori. Alcune sue opere sono esposte nei più importanti musei internazionali come ad esempio: "Pozzo di eroi" (1983), "Canto I" (1995), "Interno con stagno" (1988), "Vespero" (1984) esposti al Metropolitan Museum of Art di New York.

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MICHELANGELO PISTOLETTO
Il canto della pace preventiva, 2024
intervento site-specific | site-specific installation
» Via Lopez y Rojo 1

Michelangelo Pistoletto (Biella, 1933. Vive e lavora a Biella) inizia a esporre nel 1955 e nel 1960 tiene la sua prima personale alla Galleria Galatea di Torino. Nel biennio 1961-1962 approda alla realizzazione dei Quadri specchianti, che includono direttamente nell’opera la presenza dello spettatore. Con questi lavori Pistoletto raggiunge in breve riconoscimento e successo internazionali, che lo portano a realizzare, già nel corso degli anni Sessanta, mostre personali in prestigiose gallerie e musei in Europa e negli Stati Uniti. Tra il 1965 e il 1966 produce un insieme di lavori intitolati Oggetti in meno, considerati basilari per la nascita dell’Arte Povera, movimento artistico di cui Pistoletto è animatore e protagonista. A partire dal 1967 realizza, fuori dai tradizionali spazi espositivi, azioni che rappresentano le prime manifestazioni di quella “collaborazione creativa” che Pistoletto svilupperà nel corso dei decenni successivi, mettendo in relazione artisti provenienti da diverse discipline e settori sempre più ampi della società. Tra il 1975 e il 1976 realizza nella Galleria Stein di Torino un ciclo di dodici mostre consecutive, Le Stanze, il primo di una serie di complessi lavori articolati nell’arco di un anno, chiamati “continenti di tempo”, come Anno Bianco (1989) e Tartaruga Felice (1992).

Nel 1978 tiene una mostra nel corso della quale presenta due fondamentali direzioni della sua futura ricerca e produzione artistica: Divisione e moltiplicazione dello specchio e L’arte assume la religione. All’inizio degli anni Ottanta realizza una serie di sculture in poliuretano rigido, tradotte in marmo per la mostra personale del 1984 al Forte di Belvedere di Firenze. Dal 1985 al 1989 crea la serie di volumi “scuri” denominata Arte dello squallore. Nel corso degli anni Novanta, con Progetto Arte e con la creazione a Biella di Cittadellarte-Fondazione Pistoletto e dell’Università delle Idee, mette l’arte in relazione attiva con i diversi ambiti del tessuto sociale al fine di ispirare e produrre una trasformazione responsabile della società. Nel 2003 è insignito del Leone d’Oro alla Carriera alla Biennale di Venezia. Nel 2004 l'Università di Torino gli conferisce la laurea honoris causa in Scienze Politiche. In tale occasione l'artista annuncia quella che costituisce la fase più recente del suo lavoro, denominata Terzo Paradiso. Nel 2007 riceve a Gerusalemme il Wolf Foundation Prize in Arts, “per la sua carriera costantemente creativa come artista, educatore e attivatore, la cui instancabile intelligenza ha dato origine a forme d'arte premonitrici che contribuiscono ad una nuova comprensione del mondo”.

Nel 2010 è autore del saggio Il Terzo Paradiso, pubblicato in italiano, inglese, francese e tedesco. Nel 2012 si fa promotore del Rebirth-day, prima giornata universale della rinascita, festeggiata ogni anno il 21 dicembre con iniziative realizzate in tutto il mondo. Nel 2013 il Museo del Louvre di Parigi ospita la sua mostra personale Michelangelo Pistoletto, année un - le paradis sur terre. In questo stesso anno riceve a Tokyo il Praemium Imperiale per la pittura.

Nel maggio del 2015 la Universidad de las Artes de L'Avana gli conferisce la laurea honoris causa. Nello stesso anno realizza un'opera di grandi dimensioni, intitolata Rebirth, collocata nel parco del Palazzo delle Nazioni di Ginevra sede dell'Organizzazione delle Nazioni Unite.

Nel 2017 viene pubblicato il suo testo Ominiteismo e Demopraxia. Manifesto per una rigenerazione della società.
Nel 2021 viene inaugurato a Cittadellarte l’Universario, spazio espositivo in cui l’artista presenta le sue più recenti ricerche, e nel dicembre del 2022 è pubblicato il suo ultimo libro, La formula della creazione, in cui ripercorre i passi fondamentali e l’evoluzione del suo intero percorso artistico e della sua riflessione teorica.

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LUDOVICA CARBOTTA
S/T (segnale non visivo), 2024
intervento site-specific | site-specific installation
altorilievo, resina a base di acqua, grafite, vernice | high relief, water-based resin, graphite, paint, cm 70 x 40 x 40
» Via Montella

L’opera S/T (segnale non visivo), realizzata appositamente per il progetto, fa parte di una serie di sculture in cui alcuni particolari anatomici emergono da forme geometriche che sembrano poste a protezione del corpo: “Sono sculture dove si vedono solo alcuni particolari anatomici, perché il resto del corpo scultoreo è stato coperto come per proteggerlo. Si usa fare delle coperture simili con legno o gesso o sacchi per proteggere le statue in caso di conflitti. Il fatto di coprirle è per me una maniera di attivare l’immaginazione di chi le guarda a completare quella forma nascosta.”

Ludovica Carbotta pone al centro della sua ricerca, che ha spesso una forte dimensione performativa, l’esplorazione dello spazio abitato, analizzando il modo in cui le architetture e le infrastrutture urbane definiscono il campo d’azione dei corpi. Le sue opere, che comprendono installazioni, sculture, disegni e testi, traggono spesso ispirazione dalla letteratura utopistica e di fantascienza. Si formalizzano attraverso l’uso di materiali diversi che danno forma a sistemi complessi: spazi fittizi-narrativi in cui si prefigurano immagini distopiche e futuristiche in grado di aprire una riflessione sulle potenzialità e i rischi di una radicalizzazione dell’individualità all’interno di società sempre più rivolte alla sovraesposizione del sé e alla perdita della pluralità e del senso di comunità. Nell’opera di Ludovica Carbotta il corpo riflette sul valore materiale e simbolico della rovina, esaltando le capacità dell’immaginazione di fornire alternative tangibili al precostituito ordine sociale.

Ludovica Carbotta Torino, 1982. Vive e lavora a Barcellona, Spagna) ha conseguito un Master in Fine Arts alla Goldsmiths University di Londra nel 2015. Insegna Scultura presso BAU, Centro Universitario di Arte e Design di Barcellona. Il suo lavoro è stato esposto in mostre personali e collettive in istituzioni prestigiose, in Italia e all’estero. È una delle co-fondatrici di Progetto Diogene e di The Institute of Things to Come. Fra i premi di cui è stata insignita, ricordiamo( la Menzione Speciale al Premio ITALIA (Museo MAXXI, Roma, 2016) e il Premio New York (ISCP/Columbia University, New York, 2018). Insieme a Lara Favaretto, Ludovica Carbotta è l’unica artista italiana selezionata da Ralph Rugoff, curatore della 58a Biennale di Venezia, per la mostra internazionale della manifestazione veneziana. Le sue opere sono state incluse in collezioni private e museali come Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, Rivoli; MACRO - Museo d’Arte Contemporanea, Roma; MA*GA - Museo d’Arte Gallarate; Institut Valencià d’Art Modern – IVAM, Valencia; GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, Torino; La Biennale di Venezia; Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino; Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo; Rothschild & Co Collection, Austria; colección olorVISUAL, Barcellona.

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CHIARA CAMONI
Annunciazione, 2024
intervento site-specific  | site-specific installation
terracotta galestro, pelliccia riciclata, fiori secchi | terracotta galestro, recycled fur, dried flowers, cm 20 x 30 x 55 circa cadauna | each, dimensioni variabili dell’insieme | variable dimensions overall
» Vico Principessa Giovanna

La dimensione temporale e la ritualità del gesto sono un punto centrale nella ricerca artistica di Chiara Camoni, che affronta tematiche profonde legate alla complessità del quotidiano, al rapporto con la natura, all’imprevedibilità della materia, alla trasformazione degli elementi, alla sfera spirituale, ancestrale e arcaica. La sua pratica artistica si esprime attraverso vari formati, ma privilegia la scultura, con cui l’artista sperimenta materiali organici come erbe, fiori, ceneri, terre e argille. Sin dagli esordi del suo percorso artistico, Chiara Camoni ha rivolto una particolare attenzione verso la dimensione collettiva del processo di creazione, fino a farla diventare una vera e propria metodologia. La cura verso queste pratiche di condivisione e di scambio, che includono spesso le relazioni più intime e vicine alla sfera del suo privato, trova origine in una prima collaborazione con Ines Bassanetti, la nonna, che a partire dagli ottantanove anni diventa sua assistente realizzando una consistente raccolta di disegni a matita. Da questa pratica nasce la serie Capolavori, in cui Ines realizza copie di grandi opere della storia dell’arte, tra cui l'Annunciazione di fra Giovanni da Fiesole detto Beato Angelico che, filtrata da uno sguardo inconsapevole e da un segno inesperto, si trasforma in qualcosa di inedito. La scultura in terracotta realizzata appositamente per Votiva, trova ne l’Annunciazione di Ines la sua genesi. Attraverso il gesto scultoreo, Chiara Camoni ha dato forma a un’ulteriore metamorfosi dell’immagine da cui prendono vita creature ibride: “un cappuccetto rosso e un lupo”, afferma l’artista, riportando il linguaggio dalla sfera religiosa a quella delle tradizioni orali e del racconto che racchiude in sé stupore e turbamento, verità straordinarie e al contempo atroci.

Chiara Camoni (Piacenza, 1974. Vive e lavora a Seravezza, Lucca) si è diplomata nel 1999 in scultura presso l’Accademia di Belle Arti di Brera. Dal 2000 è direttore artistico dell’Istituto per la Diffusione delle Scienze Naturali di Napoli e tra il 2002 e il 2006 tiene cicli di conferenze presso la sezione didattica del Museo Archeologico Nazionale. Nel 2007 fonda insieme ad altri artisti il MAGra, Museo d’Arte Contemporanea di Granara (PR) e ne segue la programmazione. Fa parte del gruppo Vladivostok. Diverse istituzioni internazionali hanno ospitato sue mostre personali, tra cui Hangar Pirelli, Milano (2024); A Tale of a Tub, Rotterdam (2023); GAM, Gal­leria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, Torino (2022); CAPC, Musée d’art contemporain de Bordeaux, Centre eu­ropéen d’action artistiques contemporaines CEAAC, Strasbur­go (2021); Mostyn Centre for Contemporary Art, Llandudno, Galles, Middlesborough Insititute of Modern Art, Regno Unito (2019); Nomas Foundation, Roma (2015). I suoi lavori sono stati anche esposti in numerose mostre e rassegne collettive come Biennale, Borger-Odoorn, Olanda (2023); Biennale Gherdëina, Val Gardena, Museum of Modern and Contemporary Art, MA­MAC, Nizza (2022); CENTRALE, Brussels, Nottingham Con­temporary, GNAM, Galleria Nazionale di Arte Moderna, Roma (2021); Quadriennale di Roma, Palazzo delle Esposizioni, Roma, Centrale Fies, Trento, Maison des Arts Georges & Claude Pom­pidou, France (2020); Magazin des Horizons, Grenoble, GNAM, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma (2019); Gallerie d’Italia, Milano, Museo Novecento, Firenze (2018); Museo Internazionale delle Ceramiche, Faenza, ar/ge Kunst, Bol­zano (2017); CAC-Contemporary Art Centre, Vilnius, Triennale di Milano, MACRO Museo d’Arte Contemporanea, Roma (2016); Museo Villa Croce, Genova (2015).

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GIOVANNI LAMORGESE
L’Addolorata, 2015
maiolica smaltata | glazed majolica, cm 37 x 18
» Via Bartolomeo Ravenna 46

L’Addolorata di Giovanni Lamorgese rappresenta idealmente il punto zero del progetto “Votiva”, la materializzazione di quell’intuizione visionaria, ma all’epoca ancora in fase di elaborazione, del Sindaco di Parabita Stefano Prete, creatasi con l’Installazione di un suo lavoro nella nicchia esistente sulla facciata del proprio studio parabitano.

Per Lamorgese L’Addolorata è un'icona che porta ancora visibili i segni di un atavico malessere, di un dolore incancellabile. Donna e madre prima ancora che simbolo di culto, questa rappresentazione per frammenti della Madonna Addolorata “racchiude in sé ogni lacerazione, rappresenta l'attimo esatto in cui il suo cuore è andato in frantumi, restituendoci un'istantanea piena di pathos e rassegnazione che ci racconta di abbracci spezzati e di una perdita incolmabile. Rappresentata nel candore del bianco virginale, la Madonna si fa improvvisamente materia e spirito, incarnazione di un simbolo ritrovato e più che mai attuale, uno specchio in cui riconoscere il presente ed allo stesso tempo riconoscere noi stessi, la nostra finitezza”.
Personalità poliedrica ed eclettica che spazia dalla scultura al design, dal costume alla scenografia, Lamorgese ha fatto della propria missione la rappresentazione della realtà attraverso la propria esperienza personale, ma anche attingendo all’iconografia mitologica, biblica e letteraria.

Giovanni Lamorgese (Valenzano, 1969. Vive e lavora a Parabita) si forma all’Accademia di Belle Arti di Roma. Esordisce nel mondo dell’arte nel 1992 a Roma, dove mette in scena il paradosso concettuale tra Gian Lorenzo Bernini e Moana Pozzi con testi di Lidia Reghini di Pontremoli; nello stesso periodo collabora con Felice Levini e con la rivista Opening, diretta da Alberto Vannetti. Negli anni Novanta, lavora per il teatro lirico collaborando con le sartorie Pieroni, Tirelli e Farani, per il cinema d’autore con Giovanni Albanese e Alessandro Piva e firma numerosi spettacoli creando costumi e scenografie per Giuliano Vasilicò. Sostenitore della commistione tra arte e design, interviene all’interno di dimore d’epoca, trulli, masserie e dammusi, trasformando spazi privati in gallerie e portando l’arte nella quotidianità, come l’installazione Iride a Palazzo dell’Elefante della Torre a Galatina o i progetti ‘Ishtar per l’Arte‘ e la Uno Nove Tre – Liquid Art Gallery di Pantelleria. E’ stato direttore artistico del brand eco- sostenibile RI_USO, trasformando materiali di scarto industriale in oggetti di design contemporaneo.
Ha esposto in diversi musei, palazzi, fiere di settore e gallerie, in Italia e all’estero, tra cui USOMAGAZZINO (Pescara), Museo Nuova Era (Bari), Primo Piano LivinGallery (Lecce), Museo di Allotropya (Antikyra, Grecia), dove la sua opera ‘Ichinen’ fa parte della collezione permanente, Museo MUST di Lecce, Palazzo Reale di Milano in occasione del Salone del Mobile, Sphinx Festival (Tebe, Grecia), come artista internazionale per la rassegna Cryptographie curata da Dores Sacquegna, Swab Barcellona, Paratissima Torino e Maison Objet a Parigi.

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CLAUDIA LOSI
Amuleti Animalia, 2024
intervento site-specific | site-specific installation
argilla refrattaria e smalti naturali |  fireclay and natural glazes, 5 elementi | elements, dimensioni variabili | variable dimensions
» Via Mazzini 37

Amuleti Animalia è l’opera che Claudia Losi ha realizzato appositamente per il progetto ed è composta da cinque elementi in argilla refrattaria, smaltata con terre e ceneri raccolte nell’Appennino piacentino, nelle cui forme si fondono immagini di animali umani e animali non umani diffusi in Salento (lupo, tartaruga, civetta, tasso e geco o “tarantola muraiola”). Queste figure compenetrate l’una nell’altra danno vita a creature metamorfiche cariche di alterità e densità emotiva (timore, stupore o meraviglia). Gli amuleti, oggetti minimi che possono essere nascosti nel palmo di una mano, sono collegati al pensiero magico collettivamente riconosciuto di prevenire o allontanare il male. Questo aspetto, racchiuso nel titolo dell’opera, carica le sculture di una componente salvifica. Abbracciare con il proprio corpo un “animale guida”, custodirlo tra le proprie mani, esterna il desiderio di rintracciare un’esperienza corporea il più possibile vicina a quel contesto di sapienza antica che abbiamo dimenticato, disorientando le nostre capacità di ascolto e di trasformazione.

Claudia Losi opera con diversi media, come installazioni site-specific e performance, scultura, fotografia, opere tessili e su carta. La sua ricerca artistica, incentrata sul rapporto tra l’umano e l’ambiente in cui vive, trae ispirazione dalla natura, le scienze, la storia e l'antropologia. Il suo lavoro parte dell’osservazione teorico-pratica dell’ambiente, naturale e antropizzato, dallo studio della relazione profonda tra narrazione collettiva e immaginario, dal ruolo centrale dell’esperienza corporea sul labile confine tra contesto naturale e antropizzato.

Claudia Losi (Piacenza, 1971. Vive e lavora a Piacenza). Dopo il diploma all’Accademia di Belle Arti di Bologna e la laurea in Letteratura e Lingue straniere all’Università di Bologna, partecipa a numerose esposizioni in Italia e all’estero.

Tra le esposizioni e installazioni permanenti, in Italia e all'estero, le più recenti includono: Obrera Centro, Città del Messico; Città Studi, Biella; Installazione permanente sul tratto Nembro-Lonno (BG) della Via delle Sorelle;  La Centrale, Brussells; AssabOne, Milano;  Monica De Cardenas Gallery, Milano-Zuoz, CH; Museo Carlo Zauli, Faenza; Una Boccata d'Arte, Presicce-Acquarica; MAMbo, Bologna; Ikon Gallery, Birmingham; Collezione Maramotti, Reggio Emilia; Weaving & We, Second Hangzhou Triennial of Fiber Art, Hangzhou, China; Triennale Design Museum, Milano; MAXXI, Roma; MAGASIN, Grenoble; Stenersen Museum, Oslo; Museo Marino Marini, Florence; Ikon Gallery, Birmingham; SharjahBiennial8, Emirati Arabi Uniti.

Nel 2020 il suo progetto Being There. Oltre il giardino è stato tra i vincitori della IX edizione dell’Italian Council.
Nel 2021 pubblica con Johan&Levi, The Whale Theory. Un immaginario animale, e Voce a vento, con Kunstverein Milan. Nel 2022 pubblica Being There. Oltre il giardino, Viaindustriae, Foligno e Tra le infinite combinazioni possibili, Gli Ori, Pistoia

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LUIGI PRESICCE
Miracolo senza titolo, 2024
intervento site-specific | site-specific installation
ceramica smaltata e conchiglie | glazed ceramics and shells, dimensioni ambientali | environmental dimensions
» Vico San Salvatore

Per l’edicola in Vico San Salvatore Luigi Presicce ha realizzato Miracolo senza titolo, una mano in ceramica smaltata blu di prussia che raccoglie all’interno del palmo un piccolo cumulo di denti. La mano è incoronata da conchiglie ed è un preciso riferimento alla consuetudine della nonna materna di decorare la sua casa con conchiglie che lei stessa applicava con l'intonaco sulle pareti. Miracolo senza titolo allude a una versione complessa di un sogno ricorrente dell’artista, che dischiude stanze della memoria in cui ricordi di infanzia si innestano a desideri e tremori per il futuro, alla perdita e alla liberazione dal dolore. Come egli stesso scrive: “I denti sono attaccati al cranio, sono le ossa scoperte e visibili che riusciamo a toccare con la lingua e con le dita. Chi ha sofferto di mal di denti sa che è insopportabile, come sono insopportabili le perdite delle persone care, anche se il nostro viaggio continua, per forza di cose e di inerzia. Le conchiglie che ho scelto a decoro della mano in ceramica che impugna i denti, sono capesante e sono dette anche conchiglie di San Giacomo, simbolo dei pellegrini che compiono il cammino di Santiago de Compostela. Invitano al viaggio. L'interno dell'edicola votiva, dove in passato vi albergava una statuetta in cartapesta di San Rocco, è di un blu oltremare sbiadito; qui la mano anch'essa dipinta di blu con i denti bianchi nel palmo troverà dimora. Le conchiglie formano una corona luminosa tutto intorno, parte del mio viaggio infantile è lì racchiuso, nella dolcezza anche delle dita, di quelle carezze che alleviavano ogni dispiacere. Forse non si dovrebbe mai parlar di sé stessi, per non scoprirsi troppo, restare un mistero profondo, ma di fronte a un blu così intenso, di quasi mare, chi riuscirebbe a nascondersi, a sparire dalla geometria ordinata di un cielo ricoperto di stelle? Se ne vedrebbe il buco se ne mancasse solo una, come la bocca dei bambini che aspettano la fata dei dentini.”

La ricerca artistica di Luigi Presicce, mantenendo una forte matrice pittorica, si esprime attraverso diverse pratiche che l’artista declina per mezzo di performance, scultura, disegno, scrittura, ma anche tramite progetti che tendono ad amplificare l’indagine verso dispositivi dedicati al dialogo, basati sul tempo della condivisione, dell’incontro e della cura, come Simposio di Pittura o Scuola di Santa Rosa libera scuola di disegno.

Luigi Presicce (Porto Cesareo, 1976. Vive e lavora a Firenze) ha frequentato l'Accademia di Belle Arti di Lecce. Nel 2007 ha partecipato al Corso Superiore di Arti Visive (CSAV) presso la Fondazione Antonio Ratti di Como con l'artista americana Joan Jonas. Nel 2008, nell’ambito di Artist in Residence, ha partecipato al workshop in Viafarini a Milano con l'artista americano Kim Jones. A Milano, nel 2008 ha fondato (con Luca Francesconi e Valentina Suma) Brownmagazine e in seguito Brown Project Space, per il quale ha curato la programmazione. Nel 2011 con Giusy Checola e Salvatore Baldi ha fondato a Lecce Archiviazioni (esercizi di indagine e discussione sul sud contemporaneo). Nel 2012 ha preso parte a Artists in Residence al MACRO, Roma, estendendo il suo invito ad altri nove artisti (Laboratorio). Dal 2010, con Luigi Negro, Emilio Fantin, Giancarlo Norese e Cesare Pietroiusti è coinvolto nel progetto Lu Cafausu che promuove La festa dei vivi (che riflettono sulla morte) e con il quale è stato invitato da AND AND AND a dOCUMENTA13, Kassel.  Nel 2012 fonda una scuola di formazione itinerante chiamata L’Accademia dell’immobilità che si basa sullo sviluppo della memoria, l’armonia e la responsabilità applicate alla performance. Dal 2016 è membro fondatore della Fondazione Lac o le Mon, San Cesario di Lecce. Con Francesco Lauretta dal 2017 fa parte della Scuola di Santa Rosa, una libera scuola di disegno, con cui ha partecipato alla 60° Biennale Internazionale d'Arte di Venezia con il Padiglione del Congo. È stato selezionato per lo Studio Program 2018 presso Artists Allianc inc, New York e TAD Residency al Monastero del Carmine, Bergamo e Lacasapark, Gardiner, NY nel 2019. Ha ideato nel 2018 il Simposio di pittura, presso la Fondazione Lac o le Mon, una residenza/piattaforma centrata sulla pittura italiana degli ultimi 30 anni. Ha curato nel 2018 Extemporanea-play, presso Trebisonda Spazio per l’Arte Contemporanea, Perugia e Forme uniche nella continuità dello spazio, presso Rizzuto Gallery, Palermo, nel 2019 Facciatosta Records, di Enne Boi presso Toast project space, Firenze. Nel 2021, con Matteo Coluccia, ha iniziato ad allestire in vari luoghi delle mostre viaggianti in un furgone sotto il titolo di Polka Puttana.

 

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K.R.M. MOONEY
Deposition c. (vii), 2023
acciaio galvanizzato, argento, saldatura in oro, osso di seppia, alluminio | electroplated steel, silver, gold solder, cuttlebone, aluminum, 27 x 6.5 x 5 cm
» Via San Pasquale 23

Deposition c. (vii) fa parte di un corpo di lavori che nascono appositamente per gli spazi della galleria progetto, situata all’interno di un palazzo del centro storico della città di Lecce. Le deposizioni sono un'interiorizzazione delle caratteristiche spaziali tipiche di questi luoghi, che si contraddistinguono per gli alti soffitti e finestre strette e lunghe. L’opera è composta da un binario di acciaio bianco galvanizzato che ospita al suo interno una piccola unità irregolare di osso di seppia, intagliato e raschiato per formare una cavità in grado di ricevere lame di metallo di argento e saldature in oro a formare una composizione delicata e organica che richiede un'osservazione attenta e ravvicinata. Se il binario in acciaio fa riferimento ai volumi dell’architettura, l’osso di seppia richiama quei materiali organici che sono alla base della formazione della pietra leccese, costituita da sabbie di rocce calcaree ed elementi di origine organica, come frammenti di coralli e diversi animali marini microscopici immersi in un cemento calcitico a cui contribuisce anche l'osso di seppia.

Il lavoro dell'artista occupa spesso posizioni intermedie tra scultura astratta, autonoma e site-specific. Distillando proprietà osservabili e impercettibili dall’ambiente per cui vengono realizzati, i lavori di K.R.M. Mooney assorbono particolari dettagli architettonici come le condizioni di luce o le morfologie circostanti del sito. Radicata nella teoria culturale e nelle tecniche fondanti della metallurgia, la pratica di Mooney utilizza il materiale scultoreo e le informazioni inerenti alla materia stessa per offrire a chi guarda vari livelli di coinvolgimento, esaminando stati fisici e sensoriali come un modo per affrontare questioni di differenza, corporeità e cura.

K.R.M. Mooney (Seattle, USA, 1990. Vive e lavora a) ha studiato arte alla Central Saint Martins di Londra e al California College of the Arts di San Francisco. Le opere di Mooney sono state esposte in mostre personali presso Progetto, Lecce, Italia (2023), Altman Siegel Gallery, San Francisco (2023 e 2019), Konrad Fischer Galerie, Berlino (2021), Kunstverein Braunschweig (2017), nell'ambito dei SECA Art Awards al San Francisco Museum of Modern Art (2017) e al Wattis Institute for Contemporary Art, San Francisco (2015). Il suo lavoro è stato incluso in mostre collettive presso l'Hessel Museum of Art, Bard College, Annandale-on-Hudson, NY (2022), l'ICA, Los Angeles (2021), Yale Union, Portland (2020), Stadtgalerie Bern (2020), SculptureCenter, New York (2020), Fondation D'entreprise Ricard, Parigi (2017), Kunst-Werke Berlin (2017), White Flag Project Library, St. Louis (2016) e Futura Centre for Contemporary Art, Praga (2016), tra le altre. Partecipa alla Whitney Biennial 2024: Even Better Than the Real Thing.


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CLAIRE FONTAINE
Wishing painting (Votiva), 2024
intervento site-specific | site-specific installation
acrilico su tela, magneti e centesimi | acrylic on canvas, magnets and pennies, cm 61,5 x 40
» Via Coltura 34

Wishing Painting (Votiva) fa parte di una serie di acrilici su tela che il collettivo artistico realizza dal 2015. Come suggerisce il titolo, il lavoro pittorico è stato appositamente creato per l’edicola di Via Coltura a Parabita. Nella parte posteriore della tela è applicato del materiale magnetico che riesce ad attrarre e trattenere alcuni centesimi sulla superficie monocroma. Queste opere che attingono al concetto di desiderio, sono intrise di un'aura magica e contemplativa. Dal latino desiderare, in origine ‘fissare attentamente le stelle’, la parola enfatizza la posizione dello sguardo verso qualcosa che affascina e seduce. Il blu su cui si stagliano i centesimi offre, in questo contesto, la suggestione di un cielo stellato sebbene il lavoro faccia riferimento alle ritualità collegate agli specchi d’acqua in cui sono gettate le monete per esprimere un desiderio privato, conferendo alla moneta il ruolo di un laico ex-voto. Analizzando l’essenza propria dei Wishing paintings, che riportano il valore della moneta da una dimensione economica a quella simbolica, gli artisti affermano: “sono tenere meditazioni sulla povertà e la bellezza legate al medium che è per noi il più amato e il più problematico allo stesso tempo”.

Utilizzando sia l'immagine che il linguaggio, la poetica di Claire Fontaine si fonda sulla continua interrogazione della società contemporanea, sia a livello individuale che collettivo, stigmatizzandone la crisi. La pratica neo-concettuale di Claire Fontaine agisce provocatoriamente, mettendo in discussione la questione dell’autorialità, e si formalizza attraverso vari medium come neon, fotografia, video, testo, pittura, scultura, rielaborando iconografie che fanno parte del nostro bagaglio visivo collettivo con l’obiettivo di far emergere il loro contenuto politico. Tra i campi di ricerca in cui si muove l'artista collettiva citiamo diritti civili, lavoro, ecologia, capitalismo cognitivo, maternità, tutte indagini che approfondiscono la riflessione sul sistema politico e culturale contemporaneo, in cui l’arte diventa spazio di libertà.

Claire Fontaine è un collettivo artistico concettuale e femminista fondato a Parigi nel 2004 da James Thornhill e Fulvia Carnevale, con base a Palermo. Finalista nel 2013 del prestigioso Prix Marcel Duchamp, ha esposto in musei e rassegne internazionali tra cui The Jewish Museum di New York, il Wattis Institute for Contemporary Arts di San Francisco, Museion di Bolzano, la Neuer Berliner Kunstverein, la Städtische Galerie Nordhorn, la Shanghai Biennial al The Power Station of the Arts e Le Confort Moderne, Poitiers. Selezione di mostre personali: Your Money and Your Life, Galerias Municipais, Lisbona, 2019; La Borsa e la vita, Palazzo Ducale, Genova, 2019; Les printemps seront silencieux, Le Confort Moderne, Poitiers, 2019; #displaced, Städtische Galerie Norhdorn, Nordhorn, 2019; Fortezzuola, Museo Pietro Canonica, Villa Medici, Roma 2016; Tears, Jewish Museum, New York 2013; 1493, Espacio 1414, San Juan, Puerto Rico 2013; Sell Your Debt, Queen's Nails, San Francisco 2013; Redemptions, CCA Wattis, San Francisco 2013; Carelessness causes fire, Audian Gallery, Vancouver 2012; Breakfast starts at midnight, Index, The Swedish Contemporary Art Foundation Stockholm 2012; M-A-C-C-H-I-N-A-Z-I-O-N-I, Museion, Bolzano, 2012; P.IG.S., MUSAC, Castilla y Leòn 2011; Economies, Museum of Contemporary Art, North Miami 2010; After Marx April, After Mao June, Aspen Art Museum, Colarado 2009.

Claire Fontaine è tra gli artisti chiamati a partecipare al progetto Con i miei occhi realizzato nella Casa di detenzione femminile della Giudecca per il Padiglione della Santa Sede alla Biennale di Venezia 2024, il cui titolo “Foreigners are Everywhere” è preso in prestito da una loro installazione.