Palazzo Ardito (del Diavolo) – Via Ramis

Ultima modifica 17 giugno 2020

Nel Settecento il palazzo fu abitato da Epifanio Cataldi. Alla famiglia Cataldi è appartenuto Don Isidoro Cataldi, procuratore del Capitolo della “Chiesa Collegiata” di Parabita. Il palazzo è stato poi diviso: una parte è stata assegnata ad Antonio e Giacinto Cataldi, l’altra a Francesca Cataldi e Vito Cherillo. Sempre per linea femminile l’eredità andò ai Rainò, poi Ardito e infine Sansonetti.

Caratteristica del palazzo è la presenza di un volto demoniaco raffigurato su una delle pareti d'angolo del balcone posto al secondo piano. Secondo la tradizione locale, durante la costruzione, ogni volta che gli operai tentavano di unire i due bracci della balconata, questa crollava misteriosamente nonostante tutti i possibili accorgimenti. Ogni volta che i muratori poggiavano le mensole, arrivati a quella d'angolo, questa cadeva senza alcuna spiegazione logica. Per questo motivo, dopo aver definito il fatto come un'autentica “opera tu tiaulu” (opera del diavolo), si prese la decisione di riprodurne le fattezze. L’espediente funzionò: la balconata fu completata senza ulteriori intoppi.

Questi volti venivano in realtà utilizzati nell’architettura barocca, spesso proprio a supporto dei balconi, non solo a scopo ornamentale, ma anche in qualità di elementi apotropaici, atti quindi a tenere lontane le negatività all’interno dell’edificio. Raffigurazioni simili si trovano anche nei castelli di Federico II in Puglia e in altre costruzioni in diverse zone d’Italia.

Riferimenti bibliografici
O. Seclì, Parabita nel '700-Dinamiche storiche di un secolo, Edizioni "Il Laboratorio", Parabita, 2002