Palazzi ed edifici storici

Ultima modifica 9 giugno 2020

Palazzo D'Alfonso - 1691
Piazza Umberto I

Il Palazzo è stato costruito nel 1500 da Alfonso Granai - Castriota, marchese D'Atripalda. Lo stile del portale è simile alle decorazioni catalane -durazzesche, molto simili all'arte barocca e che si possono ritrovare simioli anche nelle decorazioni del portale del Castello di Copertino. Sugli estradossi del portale compaiono due volti, di Pirro e di Alfonso. Al centro del portale originariamente c'era lo stemma dei Montuori, con l'aquila ritratta in volo, in pietra leccede, poi è stato sostituito da quello della famiglia Fai, che lo possiede tuttora.
Entrando nel palazzo si trova un'anticamera con la volta a botte decorata in pietra leccese. Il grande salone ha una volta che riprende stilisticamente il portale di ingresso. 
Nel palazzo è conservato l'affresco "La Primavera" di Agisileo Flora.

Palazzo dei Veneziani - 1500
Vico San Marco

La tradizione dice che i Bellisario avevano origini venete e, a riprova di ciò, il palazzo, di chiara struttura cinquecentesca, è conosciuto come Palazzo dei Veneziani. Testimonianza è anche l'icona dedicata a S. Marco Evangelista, il santo della Serenissima. Probabilmente il palazzo apparteneva ai Giubba una cui figlia, Ippolita, nel 1702 aveva sposato Giacomo Bellisario. Famiglia di Giudici e Dottori Fisici, annovera Giuseppe Bellisario che fu corrispondente del gallipolino Giovanni Presta al quale partecipò numerosi dati sulla molitura delle olive. Il figlio Nicola fu valente medico e sua moglie Angela Castrignanò, rimasta vedova, vi tenne bottega lorda, ma per i numerosi debiti la casa fu posta in vendita ed acquistata dai Cataldi. Successivamente venne in possesso di Michela Liguori che vi tenne licenza di sali e tabacchi. 

Palazzo Ferrari - 1800
Via Vittorio Emanuele III

La costruzione faceva parte di un immenso "giardino grande nominato della Corte, sito fuori la porta di Gallipoli, tutto murato, arbustato di aranci ed altri comuni, con entro due case a tetto, tre cisterne d'acqua, una conserva di acqua piovana ed una camera a lamia metà del quale è feudale e l'altra metà burgensatica".Fu abitato da Saverio Ferrari quando si allontanò dal castello, al momento della causa contro il fratello duca Giacinto che vietava le nozze con Rosaria Cataldo. A figli Francesco e Vincenzo fu poi assegnato il palazzo, completo di giardino, insieme alla masseria Rischiazzi. Visse successivamente Giuseppe Ferrari, figlio di Vincenzo e fondatore della Banca Popolare di Parabita, nonché suo primo presidente; quindi i suoi figli Vincenzo, Luigi e Gabriele che vi tenne farmacia.Proprietà del Comune oggi è sede della "Quadreria Giannelli" e del Museo del Manifesto. L'ex farmacia ospita inoltre l'Associazione per anziani " Don Tonino Bello".

Palazzo Muja - 1500                                                                                                               Via Dottor Cataldi

Nel Cinquecento il palazzo apparteneva alla famiglia Muja. Questa famiglia ha dato i natali sia all’Arciprete Sebastiano Muja, vicario foraneo e rappresentante della Curia Vescovile nella stesura del Catasto Onciario del 1742 – 44, sia al poeta Vincenzo Muja, che ha trascritto per primo la leggenda del ritrovamento del monolito raffigurante la Madonna della Coltura. Nel Novecento il palazzo accolse la farmacia di Raffaele Muja. Negli anni Sessanta una parte del palazzo è stata venduta a Giovanni Vinci e tuttora è abitato da questa famiglia.

Palazzo Ramis – 1500                                                                                                             Via Ramis

Il palazzo custodisce sulla facciata una lastra scolpita ad altorilievo del XVI secolo. L’opera si sviluppa orizzontalmente e risulta essere tripartita: a desta è riprodotta l’Annunciazione dalla chiara iconografia latina (la Madonna è seduta vicino ad un leggio e non regge il fuso e la conocchia), al centro sono rappresentai due cavalieri che si contrappongono, con al centro il simbolo della casata, a sinistra è riprodotta la Deposizione (in basso si vede la sommità di un sepolcro dal quale, a mezzo busto, emerge il corpo del Cristo sorretto da tre angeli). Secondo uno studio iconografico dello studioso Stefano Cortese, la rappresentazione posta a sinistra potrebbe essere l’Immago Pietatis o Pietà, ovvero il Cristo che emerge dal sepolcro. Rappresentazioni simili dell’Immago Pietatis si ritrovano in varie zone del Salento. (“L’alto rilievo di Palazzo Ramis. L’Immago Pietatis nel Salento” di Stefano Cortese, Nuovalba, anno 2013, n. 2). Il palazzo apparteneva alla famiglia di Emilio De Ramis e della moglie Ambrosina Patitari già a partire dal Cinquecento; la famiglia, di origine spagnola, proveniva da Gallipoli. Il palazzo è conosciuto con il nome di Li Ramis seu li Fulvi in quanto, in memoria del nonno Fulvio De Ramis, due eredi si chiamavano Fulvio e Fulvia. Il palazzo è passato alla famiglia Consiglio nel Settecento in seguito al matrimonio di due eredi De Ramis con i Consiglio. Alla fine del Settecento il palazzo è diventato proprietà dei Leopizzi e in seguito dei Murri. Attualmente abitano più famiglie.

Palazzo Ravenna – 1800                                                                                                        Piazza Umberto I

Il palazzo è sorto nella seconda metà dell’Ottocento sulla Piazza, dopo aver abbattuto delle case cannizzate, ultimi resti di un complesso di costruzioni adibite a magazzini – deposito e rimesse per volantini, carrozze e brik di proprietà dell’Illustre Possessore. Sul lato destro esisteva anche un locale di proprietà del Capitolo di Parabita e veniva affittato anche ad uso di bottega. Vi hanno abitato gli Elia che, alla fine del secolo, hanno ampliato la costruzione per il matrimonio tra Tommaso Ravenna, originario di Gallipoli, con Annetta Elia. Nella fabbrica sono state incorporate anche le case poste su via Della Congregazione Vecchia, oggi via S. Sebastiano, già di proprietà Ravenna. Sulla facciata posta a levante completata negli anni Cinquanta da Mastro Giovanni Spinelli, vi era la chiesetta di S. Lucia che, nel Settecento, dava il nome alla strada poi della Scorrana, oggi via Lucia la Greca.

Palazzo Cataldi – 1500                                                                                                           Vico Scorrana

Il palazzo, di origini cinquecentesche, è costituito da una corte con nel patio un grande arco. Nel 1723 una parte del palazzo è stata mutilata per la costruzione della Chiesa delle Anime del Purgatorio e, in questa occasione, è stato distrutto il balcone sovrastante, del quale oggi rimane solo un elemento incastonato nel muro di ponente. Il palazzo è stato abitato alla fine del Seicento da Antonio Cataldo e la moglie Porzia Finiguerra. Nell’Ottocento è stato abitato da tre famiglie Cataldi, detti dei Gioacchino. Ha vissuto qui anche Antonio Ferrari, figlio di Sabatino.

Palazzo Montuori – 1600                                                                                                       Piazza Anime

Le case originarie di questo palazzo, posto nel “luogo detto la croce dell’Osanna”, sul finire del Seicento erano proprietà di Rosa Pisanello che sposò Angelo Gualtieri di Muro. Furono vendute al dottor Nicolò Antonio Papadia di Castrignano dei Greci. Nelle vicinanze del palazzo esisteva la chiesetta di Don Antonio Piccolo (da Padova). Successivamente il palazzo passò alla facoltosa famiglia Marzo, tanto che la strada fu denominata Dei Marzi. Nell’Ottocento la proprietà del palazzo passò a Saverio Strajano e alla figlia Leonarda che sposò Luigi Montuori. Egli, acquistato un cortile di proprietà del Paneperso, rifece ex novo l’intero palazzo. Alienato nel 1968 dall’avvocato Giuseppe Montuori a Gemma e Maria Vinci, oggi è abitato dall’avvocato Paolo Vinci, loro nipote.

Palazzo Vinci – 1700                                                                                                                Piazza Garibaldi

Il palazzo sorge su via Fratelli de Jatta, la quale, nel Settecento, era chiusa dalle mura di Borea rinforzate dal Bastione Scligliano. Le abitazioni presenti in questa zona erano case cannicciate di proprietà del notaio Francesco Vinci e, alla sua morte, passate al fratello Giuseppe Vinci e poi al figlio Gaetano. Nel 1843, quando si presentò la necessità di abbattere le mura poste a nord, il bastione Scigliano venne acquistato da Gaetano Vinci con “mercé il pronto pagamento di ducato nove e grana 75”. Successivamente le case presenti vennero abbattute, compreso il bastione, e si liberò spazio per la costruzione dell’attuale Palazzo Vinci.

Palazzo Riccio – 1600                                                                                                              Via Vittorio Veneto

Il palazzo, diviso in due parti alla morte dell’Arciprete Don Carlo Riccio, presenta una parte coperta dal primo piano e l’altra parte scoperta con cortile, cisterna, pergola e orticello. Ancora oggi si conservano nel palazzo le grotte, una delle quali veniva usata come neviera. Alla fine del Seicento, dopo la morte dell’Arciprete il palazzo andò in parte alla sorella Cecilia e poi alla nipote Agata, mentre l’altra parte andò al nipote Oronzo Perrucci. Nel 1712 la parte appartenente a Perrucci venne venduta a Epifanio Cataldi; il nipote Sebastiano Cataldi, sposando Teresa Gabellone, erede della prima porzione, operò la ricomposizione delle due parti del palazzo. In seguito venne venduto a Don Raffaele Caggiula e andò in dote ad Apollonia Cataldi e suo marito Raffaele Piccinno, che lo divisero tra le quattro figlie.

Palazzo Marzano – 1700                                                                                                          Via Lopez

All’inizio del Settecento il palazzo è stato abitato dalla famiglia Marzano, originari di Matino. Francesco Marzano, discendente della famiglia, è stato un fondatore della Banca Popolare di Parabita e autore di numerose pubblicazioni di carattere economico tra cui “Compendio di Scienza delle Finanze”, pubblicata dalla Camera dei Deputati e ristampata dalla Utet. Il palazzo è stato poi acquistato dalla famiglia Montuori ed oggi è proprietà Cataldo-Montanari.

Palazzo Nicolazzo                                                                                                                   Via Dottor Cataldi

Il palazzo in seguito all’acquisto dello spazio demaniale delle mura ad esso contigue, è stato ampliato con due stanze che affacciano su Via Vittorio Emanuele II. Nel Settecento il palazzo apparteneva alla famiglia Nicolazzo, giunti da Taviano in seguito al matrimonio di Angelo Nicolazzo con Anna Teresa Agrosì, la cui famiglia aveva posseduto il palazzo nel Seicento. Nella famiglia si sono susseguiti per generazioni sacerdoti, tra i quali Don Giovanni Nicolazzo, ricordato per essere stato processato dalla Corte Ducale di Parabita per essere stato visto recarsi in casa di una vicina quattro ore dopo il tramonto. Nell’Ottocento il palazzo è passato a Vito Cataldi e nel Novecento a Don Giorgio Cataldi e poi alla nipote Raffaela Martignano. Attualmente è rimasto disabitato.

Rua Chiesa Madre                                                                                                                  Via Lopez

Rua Chiesa Madre è un comprensorio di case collocate in loco si dice la Chiesa Madre. I proprietari erano la famiglia Negro, costruttori molto apprezzati nel Salento, infatti Giuseppe Negro è conosciuto per aver costruito alcune chiese parrocchiali a Presicce, Maglie e la ricostruzione della chiesa di Supersano dopo il terremoto del 1743. Nel Seicento i tetti cannucciati sono stati sostituiti con quelli “a lamia” e i lavori sono stati terminati nel 1701, come testimonia un’incisione sul pavimento della casa soprana. In occasione di questi interventi di ristrutturazione è stato realizzato l’affresco esterno raffigurante il Crocefisso, infatti da questo momento in poi il posto è stato soprannominato loco lo Crocefisso. Nel Settecento il palazzo è diventato di proprietà della famiglia Caggiula, poi nell’Ottocento una parte è passata alla famiglia Seclì e poi alla famiglia Grasso.

Palazzo Vernicchio                                                                                                                Via S. Nicola

Palazzo Vernicchio è una delle case più antiche di Parabita, probabilmente la più antica del paese. Attualmente il palazzo conserva la struttura originaria di casa a corte con maestoso mignano (balcone che si affaccia sul cortile interno). Il tetto dell’abitazione è realizzato con una tecnica antica e particolare, a cannizzi, sorretti da una trabeazione lignea e protetto da tegole. Sul muro di levante sporge un piccolo balcone decorato.      Anticamente su via S. Nicola, dove sorge palazzo Vernicchio esistevano Le Moline, di proprietà del Duca. Il palazzo è stato abitato dalla famiglia Vernich, una fra le più ricche, che ebbe tra i suoi componenti diversi sacerdoti, tra cui Don Antonio Cantore e gli Arcipreti Don Alfonso e Don Alessandro (1684 – 1750). Nel 1770 il palazzo è stato diviso tra i fratelli Giuseppe e Giuseppa Rosa. Successivamente il palazzo è stato frazionato e venduto in più abitazioni.

Palazzo Costa                                                                                                                        Via S. Nicola

Il palazzo è composto da un piano terra e un piano superiore con una cisterna e un cortile. Il palazzo è posto in una zona che veniva chiamato posto in luoco si dice Le Molene. Per tutto il Seicento nel palazzo ha abitato la famiglia di Giacomo Costa e nel Settecento abitò l’arciprete Don Gaudioso Costa. Alla sua morte la sorella Veneranda, sposata con Lazzaro Cutrini (Cotrini), ha ereditato il palazzo. In seguito è passato alla famiglia Piccinno con il fisico Leonardo Piccinno, medico della Corte Ducale molto rinomato nel paese e il sacerdote Don Giovanni Piccinno. Nell’Ottocento il proprietario è stato il maestro Donato Perri e i suoi nipoti Stamerra. Successivamente, frazionato in più parti, il palazzo è stato venduto.

Palazzo Giannelli                                                                                                                   Via A. Giannelli

Il palazzo è diventato proprietà di Francesco Giannelli come erede di Nicola Piccinno che lo possedeva già nel Settecento. Qui ha abitato Ermenegildo Giannelli, nominato mastro d’atti dal Duca Giacinto Maria Ferrari nel 1783 e il fratello Giuseppe, attuario e sindaco di Parabita nel 1796. Da Giuseppe e dalla moglie Giovanna Gabellone, è nato Andrea Giannelli (al quale è intitolata la strada dove sorge il palazzo), noto medico di Parabita e padre del pittore Enrico Giannelli che ha donato la propria quadreria al Comune.

Palazzo Cherillo                                                                                                                   Via Immacolata

La famiglia Cherillo, originaria di Casarano, giunse a Parabita nel 1683, con Antonio Cherillo che sposò Giulia De Giovanni, ottenendo in dote parte delle case dei De Giovanni. Successivamente furono acquistate snche le case confinanti del farmacista Zaganà e dei De Giovanni, trasformando il tutto in casa palatiata. I discendenti si articolarono in più famiglie che diedero a Parabita diversi farmacisti e magistrati. Maria, ultima erede Cherillo, sposò Frencesco Leopizzi, ma i due non ebbero figli e successivamente il palazzo fu posto in vendita. Acquistato da Vincenzo Caggiula fu assegnato in dote alla figlia Marisa per il matrimonio con il dott. Enzo Cataldi.

Palazzo Blanco                                                                                                                     Via Blanco

La famiglia Blanco, originaria di Soleto, giunse a Parabita nel 1700 con il dottor fisico Orazio Blanco che sposò Caterina Marcucci, nipote dell’arciprete Don Giuseppe Marcucci, ottenendo in dote il palazzo in contrada Montella. Famiglia di grossi proprietari, annoverò valenti medici, sacerdoti e “monache bizoche”. L’ultima erede della famiglia Blanco, Candida, lasciò il palazzo in eredità alla sorella Donata che aveva sposato Raffaele Muja. Conseguentemente il palazzo passò ai nipoti Muja, i quali, all’inizio del Novecento, lo affittarono al segretario comunale Beniamino Giannuzzi. Negli ultimi anni è stato acquistato dalla famiglia Prete che vi abita.